Inanimus

Martedì scorso, un buco di due ore, c'è tempo per un film. All'"Ariston" propongono un iraniano: la decisione è già presa. "Il dubbio - Un caso di coscienza", pellicola del 2017 scritta e diretta da Vahid Jalilvand, quarantaduenne di Teheran, è di quelle che, appunto, pongono l'accento sulle responsabilità etiche di ciascuno, smarrite per i non luoghi delle nostre società, dimenticate durante la corsa al denaro cui tutto sacrifichiamo. Rigore delle immagini e del messaggio, in un film dolce per gli occhi, ma crudele, giustamente, per i nostri cuori plastificati.

Il regista, come già visto nella sua opera precedente ("...sembra mercoledì") è un fine ascoltatore della sua società. Non solo iraniana, certo, difatti i problemi che attanagliano la società moderna degli eredi dei Re di Persia sono i medesimi di ogni altra società. Ma è indubbio che Jalilvand sappia bene strutture e sfumature proprie della società civile in cui vive. Come quel passaggio "da scimmione a cretino", di cui si accenna all'inizio del film. Battuta densa di significati: una società cambia, innegabile, ma quali le misure qualitative di questo evolversi? Evidentemente non facili da identificare. Di certo non in cinque minuti, non al bar. Ad ogni modo, l'acume sociologico di Jalilvand gli permette ogni volta di porre domande che smuovono le nostre zavorre ideologiche e, soprattutto, economiche. E' anche l'attore protagonista che, assieme al suo comprimario, dà sfoggio di ottime capacità.
Di queste trame che pongono, appunto, dubbi etici e mani sulle coscienze, ormai ne susseguono numerose (Dardenne brothers for example). Ok, qui l'intreccio è fitto, per cui la noia non farà capolino. Ma insomma il risultato sul piano del ritmo ottenuto dal regista è notevole: attorno al dilemma di coscienza, arrotola lo spago degli eventi che daranno lo sprint rovinoso, senz'appello. La trottola impazzita delle conseguenze, ronde umana della vergogna e del pentimento (quando ancora serve), conduce ad alcuni meravigliosi e strazianti pianti.
Due morti ed un incarcerato, in un solo colpo, non è male (che poi, a dirla tutta, la colpa originale è tutta del tizio dello specchietto...). Ma che dire di chi, con una sola firma, affama, o umilia, o ammazza milioni di individui? Senso di colpa e di giustizia, ego, vergogna, orgoglio, paura ("...di perdere il tuo rispettato lavoro?"), anche un pizzico di necrofilia. Fa sempre bene osservarci un po'. Inanimus. Siamo così.
(depa)

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