Il Premio della Giuria a Cannes 2017 non ha certo fatto gola al pubblico. Ieri pomeriggio, a vedere "Loveless" di Andrej Zvjagincev, tre anime nella spaziosa Sala 1 del "City" (peut-etre que tutti l'avessero già visto...). Va detto che, se il film russo sul piano visivo porta un'ottima fotografia cupa e compatta e, su quello contenutistico, picchia duro come deve, d'altro canto lo fa lo fa senza mostrare toccare vertici lungo il percorso, senza scorci indimenticabili, senza alcun tono prezioso che gratifichi; ma anzi, appiattendosi su un racconto piuttosto didascalico, vittima esso stesso del vuoto raffigurato.
Ed eccoci qui, generazioni perse tra selfie e vuoti discorsi sbocconcellati in superficie all'aperitivo, fast think che dà apparente soddisfazione (più che reale al padrone, ergo: sansun, nochia, appol; e ai suoi servi: politici e polizia). Sappiamo tutto, ce ne accorgiamo, ma lo facciamo. L'alienazione falcia intere nidiate umane in nome del nulla. Subdolamente, il linguaggio non segue da vicino il disfacimento in corso ma, servo fedele, sta a fianco del potere a diffondere proclami/intenti fasulli ("Ti amo! Non ho mai amato nessuno", quante volte lo sentite dire ad Amici o cagates similia?). La parola per mascherare, o come souvenir di qualcosa del passato, dimenticato. Nei nuovi non-luoghi di oggi, che circondano le metropoli nate l'altroieri, lo smarrimento è una costante.
Fortunatamente Zvjagincev tratta questo orribile vuoto col sufficiente distacco, ma come detto, senza innalzare con sé, colla propria arte, le brutture dei protagonisti.
Chiacchierando del film, Marigrade, che offre spesso preziosi stimoli, sollevava il fastidio che le dette questa sorta di rivincita dei moscoviti autorganizzatisi, rispetto all'inefficienza degli apparati istituzionali. Quel dito puntato effettivamente c'è, ma tutto sommato, secondo me, resta sullo sfondo. Troppo ingombrante l'inadeguatezza al mondo, non solo alla m/paternità, dei due genitori.
La nota più alta, come detto, ancora una volta la la fotografia algida e cianotica del regista siberiano. Senza ignorare una certa suspense per la ricerca del ragazzino, comunque ben realizzata.
Finale che, più che in altro genere di film, è determinante per la valutazione complessiva del film (anche per le considerazioni fatte con Marigrade...pensate se fosse finito con la squadra soccorso acclamata dalla folla riversa nei boulevard festanti): nel macabro obitorio due diverse disperazioni che lasciano aperte, con eleganza, le possibilità; quindi un volantino a ribadirle e moltiplicarle. Ma...tranquilli: tutto proseguirà come se nulla fosse.
Immagine conclusiva col classico invito all'esame di coscienza da parte del pubblico (mi viene in mente lo sguardo indagatore con cui Mungiu chiuse il suo "Mese...settimane...giorni", c'è pure una foto da qualche parte qui sul 'Rofum).
In definitiva una pellicola non indimenticabile, dalla buona atmosfera decadente; un po' moralista, ma ci sono morali giuste ed altre sbagliate, poi altre, in buissimi come questi, necessarie.
Facciamo 'na bella roba: smettiamola di sposarci. Usciamo e corriamo, urlando. Nudi.
(depa)
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