Giovedì sera scorso si sono riuniti una seconda volta "Grimaldello", "Fronte Degrado" e "Ghetto People" (quest'ultimo ancora in veste diafana). Il risultato è stato la proiezione di "Alle eyez on me", pellicola biografica sulla figura del mitico rapper statunitense Tupac Shakur, a.k.a. 2Pac (1971-1996). Cresciuto tra le giuste rivendicazioni delle Black Panther (sua madre, Afeni, attivista delle "Panther 21" incarcerata, porterà avanti, vincente, sia la propria difesa, sia la gestazione del figlio), gli infuocati conflitti socio-razziali dei "ghetti" delle metropoli (Harlem, NY, e Los Angeles: ergo East & West Coast, leggi dopo) e quelli economici scoppiati tra le principali discografiche delle due coste americane. Il film, a quanto pare, ha coinvolto solo me, forse per la mia precoce passione per il rap (lo ammetto, "in camera" avevo gli "altri", Puff Duddy & Notorious B.I.G.); per i più, il biopic diretto da Benny Boom, 46enne di Filadelfia, qui alla terza "fatica", non rende assolutamente la complessità del leggendario rimatore di origini afroamericane, rimanendo su quella superficie che trascina al botteghino, ma senza dire troppo...
Ripeto, che da questo film non emergano le costanti violenze della polizia statunitense sulle minoranze etniche americane; che non emerga tutta la potenza di fuoco messa in campo dalle istituzioni per mantenere il controllo repressivo che non permetta alcun tipo di emancipazione (economica, culturale, esistenziale), non lo credo. Mentre credo che ognuno, vedendo trasferire un mini studio di registrazione nel carcere di massima, possa trarre le proprie conclusioni; che poi sono le due facce di questo stesso film, rispecchianti comunque l'innegabile ambiguità che accompagnava gesti e parole di questi ragazzi catapultati dalle strade (tra repressione, violenza, razzismo e crack: vade retro stereoptipo), alle jacuzzi ricoperte di tette schiumanti: da una parte le accuse di violenza sessuale da dare in pasto all'opinione pubblica, più al sicuro ora che un altro niggaz è chiuso in cella; dall'altra lo show-business (musicale) che, in pieno rispetto delle sfrenate e cieche logiche consumistiche (il capitale esige sempre e solo di crescere, ad ogni costo), deve continuare senza alcun rimorso a fabbricare essebarrate. Qualcun altro ancora, se vorrà, potrà pensare che si è trattato solo della cara e dolce libertà of America, dopo tutto la terra di sogni (quando si dorme). L'essenziale è invisibile agli...diciamo ingenui (gli infami ci vedono eccome).
La pellicola si limita in effetti a raccontare i fatti ufficiali, accennando qualche ipotesi, ma in generale lasciando le parentesi aperte attorno a quelle "ufficiose" (che lo stupore di Biggie, e la sua crew, fosse quello di chi non se lo aspettasse...vivo). Il quadro dopotutto se non profondo, mi pare essenzialmente completo: un ragazzo che ne ha molte da dire (per una discendenza "fortunata"), la cui bocca verrà bloccata prima da uno Stato terrorizzato dalle idee di libertà e rivolta, poi dall'idiozia di ragazzi ben più frivoli, che in quello Stato han trovato forse il loro migliore alleato.
Dopotutto, non masticando inglese a tali velocità, farò come tutti quegli estimatori che del grande rapper ricorderanno, oltre i testi attenti o sbracati, quell'attitudine così determinante in un genere musicale che cambiò il rapporto tra cantante e pubblico: il flow.
(depa)
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