"Fame! Fame, fame, fame!" (cit.). Una tira l'altra, in sala Valéry echeggia un mantra! Altra pellicola, ieri sera, e c'era pure Barabba! Bon, basta. Entusiasmo già finito: "La città magica", film del 1947 e diretto dallo statunitense William August Wellman è piccolo, superficiale, prevedibile. James Stewart fa il suo e si capisce come gli americani si siano fatti tenere per mano da lui, in anni di fatiche, illusioni, successi. Ma un dolce boy scout, divenuto saggio nell'arco di un racconto, non basta per fare un buon film.
Non credo sia così difficile trovare i difetti narrativi di questa pellicola. Mr Smith, diversamente da 8 anni prima, questa volta non è andato a Washington e forse, venendo a mancare il confronto diretto col nemico, si deve a ciò la sensazione di una recita di scuola, atta a dimostrare i continui attacchi contro cui la piccola-immensa comunità statunitense è chiamata a far fronte, scherzandoci un po' su e finendo ad abbracciarsi tutti, senza dimenticare che "io gestirò la pulizia dei giardini!", "Io mi occuperò che i bambini dispongano di libri e giocattoli!" e così via. Contrariamente a quanto ruffianamente riportato nell'extra dedicato al regista, le sue carenze ideologiche vengono a galla, eccome. Che si tenga tutto il suo maccartismo colle sue balle da albero natalizio (era ancora l'epoca dell'elettricità che, mediante il treno, avrebbe portato il progresso in ogni cittadina). Di tante belle favolintenzioni rimane solo la più fulgida retorica sociale, altro che posizione conservatrice tenuta a bada. Il progresso, quando è un tratto e non una linea, si fa menzogna del proprietario del momento (come chi vuole "capire" la gente col solo scopo di risparmiare).
James Stewart mattatore, comunque, occhi e cinepresa tutti per lui: gioca a basketball, scherza coi bambini, è astuto come una faina, ma è cerbiatto di fronte alla sua scoiattolina.
A fine proiezione, sul divano c'è Baraka addormentato, io, sul tappeto, incazzato; trovandomi addirittura a rimembrare, dinanzi ad un finale così banale, la potenza di quell'ultimo, rockyano, Adrianaaa! ...
(depa)
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