L'ultimo "Spazio" è senza fine

Ed eccomi all'ultimo "Oberdan". Sono contento che sia un Kieślowski, che sia "Senza fine". Ha un senso. Lo stesso che ha avuto e sempre avrà la mia gratitudine verso questo cinema che m'ha abbracciato con l'antologia più rigogliosa dell'arte che amo.
Questo fu il messaggio che mandai, groppo in gola e lacrime agli occhi, a due o tre persone che so io. Era il 1° aprile 2015, niente da ridere. Era, invece, il 1985 quando Krzysztof Kieslowski realizzò questo film intriso di morte e dolore: ancor meno da ridere.
Ursula si spoglia ed eccolo che prende il via, ancora una volta, il cavernoso percorso kieslowskiano, dove una morte porta lo scompiglio e il caso si diverte a infierire (come la confessione senza ascoltatori, in polacco); il montaggio d'immagini e suoni di cui Kiewslowski diede lezioni sulle lavagne delle sale cinematografiche (l'incidente stradale, molto simile ad un altro visto in uno dei trois couleurs, quale?) si mostra in tutta la sua angosciante austerità; un intenso mosaico emotivo, un pericoloso gioco sull'orlo dell'abisso. Pellicola soffocante, nonostante gli spifferi inattesi, forse è meglio non pensarci.
Solo diversivi, tutta una farsa, la fine è tremenda di fronte all'ultimo buio.

Si spengono le luci della sala Merini.
Mi mancherai, simpatica e sveglia cassiera dai capelli corti; mi mancherai anche tu, proiezionista poco incline allo scambio (del resto quasi sempre inutile, prima e dopo la visione in sala); mancherai anche tu, "pantaloncini, felpa, occhiali e capelli quanti i miei", sempre presente nelle ultime file, "in alto a sinistra" e davanti alla porta del bagno, proprio attaccato, poiché il pisciatoio lo ubicò un maniaco burlone; mancherete anche voi due, coppia alternativa d'essai, capellone e rossa al fianco, scapigliati e meno premurosi e altruisti di quanto pensassi. Mai rimbalzata una mezza parola, in 6 anni, con voi tutti. Bellissimo così, il cinema non si parla, si vede o ascolta, a volte entrambi. E, giuro, ritornerò sempre anche a voi, vivaci anzianetti dalla parlantina coinvolgente, in bizzarra solitudine o en reunion da trattoriata. Mancheranno le corse dall'ufficio per giungere in tempo, la delizia di un nuovo, fiammante e succulento programma; le sere di doppiette, le ronfate cullate da dialoghi ipnotici, i weekend che divenivano favola e volo, su di un tappeto di celluloide. Film di tutti i gusti, quasi sempre grandiosi, raramente vaccate. Ma ci sta. Nessun rimorso, qualche rimpianto: proprio tutti non era possibile. Ma son cresciuto con te, "Spazio" mio, e ti devo molto. Grazie a te l'ho presa più seriamente, dando struttura ad una passione sfilacciata. Ora, come il piccolo di gabbiano che ho sul terrazzo, "Dorian", tocca spiccare, imparare a star su, a non perdere l'orizzonte, in un oceano di film nel quale è difficile pescar bene; se preso dallo sconforto, come anche tu m'hai insegnato, caro "Oberdan", attingerò dal cinema che fu, più sano e nutriente che fosse, almeno utile a spiegarmi il perché di questa discutibile direzione.
Au revoir.
(depa)

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