Torniamo un po' al Trieste
Film Festival 2015, mica mi son scordato. Il secondo film visto, nella sala
Tripcovich del capoluogo friulano, fu "In the crosswind", del
regista estone Martti Helde, classe '87. Sontuosa e atroce passerella fotografica,
in rigoroso bianco e nero, che ci mostra la deportazione estone iniziata nel
1941. Occhio e spirito vanno a braccetto, sollevandosi in un grande esercizio
d'arte e sprofondando nell'abominevole indole umana.
Non è così semplice, in realtà. Film audace, che può affascinare quanto irritare. Taglio quasi unico, per quanto io ricordi. Tanto dovrebbe bastare per farvelo provare, il film intendo.
Che faccio? Riporto la scena della barchetta di carta che scorre su di un'acqua protetta dai rami gentili? Cinema raffinato? Sfuggito nel barocco (quello appiccicoso)?. Frammenti di storia, scorci d'immagini impressi su occhi che non avrebbero voluto guardare (essere chiusi). Le orecchie inseguono i rumori di fondo lontani (sussurri, passi, porte, pianti...) e noi preferiamo tenere a bada la voce fuoricampo, invero un po' melensa, alla lunga. Perché non sono certo le appassionate, disperate ma tenaci parole epistolari che accompagnano questi tableaux vivants (pellicola, fotografica e pittorica, a dir pochissimo), a colpire lo spettatore. Ecco, meglio entrare e scegliere, spiluccando il bello che, a ben vedere, qui tanto nascosto non è. Tutto si concentra nella vista di questi quadri trafitti da un vento che passa e va, fortunato lui. Esistenze costrette all'immobilità ("...ci sono mai stati prigionieri con così tanto spazio attorno da desiderare un confine?...Tanto che se ne può fare?...Fermi in mezzo ad una distesa morta"). La Siberia può tutto, una betulla può condannarti o farti rinascere. Pure un grammofono suona un'allegra musica di non vita. La m.d.p. ha passo furtivo e circospetto per non svegliare alcuno dei morti viventi . Le teste del pubblico costrette per i capelli a contemplare la peggiore bruttura umana.
Quante ne ha viste, sfiorate e toccate il vento! Foglie infinite, corpi di più...
Voto: 7 e 1/2 (in concorso lungometraggi: 4 su 5).
(depa)
Non è così semplice, in realtà. Film audace, che può affascinare quanto irritare. Taglio quasi unico, per quanto io ricordi. Tanto dovrebbe bastare per farvelo provare, il film intendo.
Che faccio? Riporto la scena della barchetta di carta che scorre su di un'acqua protetta dai rami gentili? Cinema raffinato? Sfuggito nel barocco (quello appiccicoso)?. Frammenti di storia, scorci d'immagini impressi su occhi che non avrebbero voluto guardare (essere chiusi). Le orecchie inseguono i rumori di fondo lontani (sussurri, passi, porte, pianti...) e noi preferiamo tenere a bada la voce fuoricampo, invero un po' melensa, alla lunga. Perché non sono certo le appassionate, disperate ma tenaci parole epistolari che accompagnano questi tableaux vivants (pellicola, fotografica e pittorica, a dir pochissimo), a colpire lo spettatore. Ecco, meglio entrare e scegliere, spiluccando il bello che, a ben vedere, qui tanto nascosto non è. Tutto si concentra nella vista di questi quadri trafitti da un vento che passa e va, fortunato lui. Esistenze costrette all'immobilità ("...ci sono mai stati prigionieri con così tanto spazio attorno da desiderare un confine?...Tanto che se ne può fare?...Fermi in mezzo ad una distesa morta"). La Siberia può tutto, una betulla può condannarti o farti rinascere. Pure un grammofono suona un'allegra musica di non vita. La m.d.p. ha passo furtivo e circospetto per non svegliare alcuno dei morti viventi . Le teste del pubblico costrette per i capelli a contemplare la peggiore bruttura umana.
Quante ne ha viste, sfiorate e toccate il vento! Foglie infinite, corpi di più...
Voto: 7 e 1/2 (in concorso lungometraggi: 4 su 5).
(depa)
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