Lynch dimension

Tra Oscar ad catzum, secondo l'umilissimo Cinerofum (nella mia penna), il quale sa anche che una logica c'è, eccome; dicevo, ad Elena e me tocca rifugiarsi nell'intima e visionaria arte di qualcuno che la pratichi. "David Lynch - The art life" è un documentario del 2016 che esplora e celebra il lato meno noto, sebbene primo e forse principale, del regista di Missoula: il pittore che gode solo nella sua arte, cui è legato da un sentire scalpitante e allucinante.

"La storia dell'angelo della totalità" recita un disegno iniziale, come a introdurre, con una pompetta di medie dimensioni, la corpulenta figura che protegge in sé i precedenti Lynch e la loro visione. Si parte dall'infanzia nella famiglia felicissima, senza mai un contrasto, con due genitori che paiono usciti da un manuale di pedagogia (anche se il padre scioccato dal seminterrato di David, regno di frutta decomposta, topi morti e altre cosucce così, che serio e preoccupato sconsiglia al figlio di mettere al mondo alcuna prole rimane la chicca più esilarante del documentario). Poi dal Montana all'Idaho, da qui a Washington DC, quindi Virginia, dove una sana adolescenza deve pur portare cattive compagnie (le implicazioni d'una famiglia in continuo spostamento, seppure sempre sotto il cielo a stelle e strisce, possono aver condizionato le sue visioni sfilacciate, smembrate, vivisezionate?). Da qui la separazione dei mondi: famiglia, amici, laboratorio. Strategia non così inusuale nei giovani, a ben vedere: spesso è camminando in solitudine, in quei mondi, che si giunge al "gran casino e gli enormi errori" che soli consentono di "trovare ciò che si stava cercando". Anche, se va detto, per bloccarsi in autostrada a guardare le strisce divisorie bianche, altro che marijuana, ci vuole una sensibilità...profonda. Che Elena ed io, contemplanti queste opere inquietanti e ipnotiche, abbiamo intravisto. Mitico David.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento