Qualche settimana fa ho ceduto alle pressioni di Elena ("C'è Christian Bale", dice lei, "anche Brad Pitt", penso io...). Mi sono trascinato, quindi, col mio carico cinerofumante in trasferta, all'Ariston per la precisione. "La grande scommessa" è una tragicomica finanziaria diretta da Adam MacKay (Filadelfia 1968). La gold rush di cui ormai sappiamo, e di cui nessuno dovrebbe più stupirsi, in Wall Street nel 2008, causò un bel po' di grattacapi (nel caso migliore) e di suicidi (...). Bolla finanziaria legata al mattone, agli artifici economici truffaldini e alle tante balle vendute per "AAA", quello narrato non è nient'altro che il fallimento della specie umana.
Via: in Romania, in BMW
Veniamo al Trieste Film Festival 2016. O almeno ad un suo boccone: anche quest'anno i soliti 10 film racimolati nei primi 2 giorni di rassegna dedicata al cinema dell'est europeo (23 e 24 gennaio). Le novità più grandi di quest'edizione, non sono né nuovi cessi che si possano definire altrimenti, né nuove poltroncine comode per la sala Tripcovich, bensì la generosa sponsorizzazione da parte del prof. Sini e il suo avvicendamento in campo con la prima punta Marigrade. Questo per contestualizzare. Torniamo al primo film: rumeno, iscritto al concorso e diretto dal giovane regista e interprete, Nicolae Constantin Tănase (classe 1985), "Il mondo è mio" ("Lumea e a mea") tratta dei nuovi assilli degli adolescenti (in particolare al femminile), tutti tesi voracemente tra cellulari, prime esperienze sessuali, "figo" e BMW.
Cantare la steppa
Ieri sera eravamo soli, io e la sala Valéry, concentrati e rilassati nel vedere una proposta da Sterox. Pellicola kazaka del 2008, "Tulpan" colpisce per poetica e sobrietà. Diretto da Sergey Dvortsevoy (Chimkent, 1962), è un dolce ed irrequieto "amore e odio" per la steppa incontaminata sino all'orizzonte.
Homo homini homo
Appena tornati dall'ultimo film del messicano Alejandro González Iñárritu, io ed Elena continuiamo a rievocarne le immagini e gli attimi. Puro racconto d'avventura, epopea wild west, che mantiene una sua grandiosa poetica pur nella carne viva. Due ore e mezzo di distese incontaminate e di rincorsa, sino alla vendetta che, in realtà, oltre al cinema, solo dio potrebbe. "The Revenant" è gioia per gli occhi, spavento per il battito cardiaco, ribrezzo per l'uomo: cinema.
La musica dell'heimat
Le festività a cavallo del primo dell'anno possono tornare utili. E' possibile, ad esempio, sfruttare le ore video a disposizione, per proseguire il lungo racconto iniziato nel 1984 dal regista tedesco Edgar Reitz e proseguito nel 1992 col secondo capitolo, "Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza". 13 film, 25 ore e mezza, più di un giorno da trascorrere con la musica del ricordo.
Nido e tradizione
Venerdì scorso, agli Amici del Cinema di via Rolando, è stato proiettato l'ultimo film del ciclo dedicato al regista Yasujiro Ozu: "Tarda primavera", del 1949, "ripropone" (in realtà pone per la prima volta, ma vai a sapere chi stabilisce le scalette delle rassegne) un tema già visto quasi identico ne "Il gusto del sakè": il nucleo familiare messo in pericolo dagli stravolgimenti che il trascorrere del tempo (e una guerra suicida) apporta alle tradizioni.
Cinema è tutto
Il Cinerofum si ciba di tutto ciò che tratta di Cinema. Per questo motivo, quando Baracca ha proposto la "Lezione di cinema" di Werner Herzog, la sala Valéry s'è immantinente spalancata. Sette incontri, realizzati durante la Viennale 1991, nei quali il regista tedesco affresca i molteplici aspetti che sottendono all'arte cinematografica: astuzia, determinazione, fantasia, illusione, ambizione, tecnica. Ne risulta un percorso coinvolgente, in cui parallelamente al fascino per la settima arte, s'accompagna l'ammirazione per un autore che, al di là dei gusti personali, incarna molti degli aspetti sopra elencati.
Pastiche de Sokurov
Il 365° giorno del 2015, poco prima degli ultimi preparativi per il cenone (x4), mi sono incamminato verso vico Carmagnola. All'"acclamato regista russo Aleksandr Sokurov" un certo rispetto è dovuto. Autore dal cipiglio audace e ambizioso, questa volta mi è parso fare un passo troppo lungo, tentennante pure, ritrovandosi confuso. Come me, del resto. "Francofonia" NON è "il nuovo capolavoro di" Sokurov (tantomeno un film drammatico).
Non servirebbe
Domenica scorsa, 3 gennaio, io ed Elena ci siamo diretti fiduciosi all'America, pronti a camminare sulle locandine dei film più celebri, stese sul pavimento, verso "I ponti delle spie", pronti a tutto. Poiché, infine, Steven Spielberg è lanterna magica, macchina dei sogni, industria hollywoodiana accanitamente tesa all'irreale. Non è il nostro campo, ma nemmeno lo evitiamo. Poi ne parlano bene, a suo di "assolutamente sì". Come non detto: il regista di Cincinnati si addentra nel genere spionistico, con la strafottenza di chi tutto può; ma senza alieni e sacri Graal, lo schermo piange.
La trasparenza dei gianchetti
In secondo luogo, vorrei liquidare più rapidamente possibile "Little sister", ultima pellicola del regista giapponese Hirokazu Kore-Eda. Strizzando l'occhiolino al grande cinema giapponese del passato, quello dei maestri, quello del dolce ricordo e delle piccole grandi cose, si fa sorprendere dai minuti che passano, giungendo alla conclusione senza offrire carezze, né assestare colpi. Più che delicatezza, parlerei di inutilità.
Un cocomero tira l'altro
Partiamo dall'ultimo. Ultimo film, non "dell'anno". "Qualcosa ambientato nei tempi andati", chiede Elena, in odor di lampioni e vespasiani parigini (Brassai al Ducale). Quindi ci inoltriamo nell'archivio, estraendone una famiglia genuina e scalmanata, intenta, nel 1951, a trascorrere una tranquilla giornata di mare in località Fiumicino: "La famiglia Passaguai", diretto e interpretato da Aldo Fabrizi, è un crescendo di comicità slapstick e immediata.
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