Ha visto un drago

Ieri sera, al Corallo, l'ultimo iraniano della minirassegna "Nuovo Cinema Teheran". Un film che non t'aspetti, un film che se venisse dagli U.S.A. non andrei a vedere, un film che scalpita per uno stile proprio, tra montaggio, fotografia e sonoro che sembrano rivendicare una propria identità; ritrovandosi, purtroppo, nelle vesti di fake hollywoodiano che brancola nel buio. Caro Mani Haghighi, hai 47 anni, suppongo che anche tu abbia capito quale pastrocchio sia poi diventato "A dragon arrives!", il film che hai presentato all'ultima Berlinale...

Non possono certo essere sufficienti i paesaggi incantevoli di una terra lontana e vergine (peraltro, ahimé, già avvistati, avvicinati, afferrati, sbranati e digeriti attraverso un'ottantina di anni di cinema). Tantomeno può bastare una colonna sonora che pompa nel modo giusto, costantemente alle prese con le il ritmo delle immagini, palliativo inutile di fronte ad. Come dire: puoi anche mettere bassi e riff fighi, ma mi accorgo comunque che sotto sotto c'è una canzoncina pop; in questo caso un astruso racconto, da me percorso faticosamente alla ricerca di metafore che facessero tornare i conti ("Oh, eccoli, ma prego si accomodino!").
Alla fine della fiera, poco lontano porta anche la suggestiva fotografia in arancio, ferro, terra e pietra; peraltro smarrita lungo una seconda parte che sfodera una sorta di mocumentario che, invece che impreziosire (altro che "basato su di una storia vera", piccoli dolci pargoli miei!), rende tutto inaspettatamente comico.
Come nel caso dell'horror artistico visto in rassegna, è evidente l'influenza stilistica del cinema statunitense, nonostante le intenzioni (da me soltanto ipotizzate). Per cui rimane la curiosità di sapere se davvero non esistano film iraniani contemporanei fieri di sé (e del proprio ruolo).
(Hozvaresh)
(depa)

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