Ieri sera, in sala Uander, è tornato Billy Wilder; sì, il regista austro-ungarico (oggi si direbbe polacco), prima di Natale ci ha voluto salutare con una delle sue opere più ricordate: "Viale del tramonto", del 1950, è un Wilder meno brillante e gioioso delle opere successive che abbiamo visto sinora in sala, anzi, in questa pellicola il vostro ottimismo andrà a farsi benedire; forse il regista in quegli anni aveva ancora negli occhi la fuga da quella sua Europa in preda alla violenza, forse non si sentiva ancora così grato a quella Hollywood che lo rese immortale (scambio equo tra i due), o forse i produttori gli spiegarono solo dopo questa pellicola angosciante che far sorridere (almeno in superficie) è più redditizio. Comunque sia, Billy Wilder che dirige una Gloria "Norma" Swanson così non permette di girarsi dall'altra parte, anche se fa male allo stomaco. Pilastro di marmo durissimo della Settima.
Extra: Woody, Parigi e l'Old Fashion
Ieri sera, in quel "gran cinema" che è il Plinius, sempre pronto a raccattare "euri" qua e là, io ed Elena ci siamo precipitati a vedere l'ultima fatica di Woody. Siamo quasi alla cinquantesima bobina ma, per il regista hollywoodiano classe 1935, i metri di pellicola volano, come fossero primi appassionati esperimenti, a trasportare il pubblico in sala, con la solita acuta leggerezza, su città e riflessioni. "Midnight in Paris" è il classico lavoro di Woody Allen, diverte in maniera intelligente; in questo caso, se lo svolgimento non soddisfa al 100% è perché un film non può durare 7 ore; dopo il "The end" tocca a noi.
Extra: Il cinema si gira, tributo al muto.
Il Cinerofum riapre dopo la meritata pausa "Kampu-Thai" e si reca al cinema a vedere un film di cui sentì parlare a Cannes 2011. Michel Hazanavicius, parigino classe 67, ricordandosi del cinema che fu, si volta indietro più che i Coen, con il loro uomo smemorato, solo per citare uno dei recenti sul 'Rofum, e, oltre a rispolverare ed esaltare il bianco e nero, riesuma addirittura l'assenza di sonoro, realizzando un vero e proprio "muto": "The Artist" è un coraggioso tributo a quel cinema cui viene sempre più voglia di rivolgersi. Il risultato, per me, ottimo: i cuoricini negli occhi degli innamorati delle pellicole ante 1929, seppur non rossi per ovvi motivi, battono forte all'uscita dalla sala.
Extra: Kubrick e l'Etica.
Altro Stanley Kubrick, questa volta il suo quarto lavoro, datato 1957: "Orizzonti di gloria". Grande esercizio di sintesi del regista americano che, sfruttando il precipitare degli eventi classico delle vicende militari, ci mostra, in realtà, non solo la bassezza morale che permea gli ambienti militari ma anche il problema di fondo comune a ogni esemplare della specie umana: l'egoismo che si trascina appresso una sostanziale repressione di qualunque etica morale (per sé) e civile (verso gli altri).
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