Cuore d'oca

La sala Valéry è tornata arrembante e mercoledì scorso, scartabellando, s'è imbattuta in John Schlesinger, il regista londinese già conosciuto per le sue nefaste domeniche. Il suo lavoro successivo, del 1975, fu "Il giorno della locusta", tratto dall'omonimo romanzo di Nathanael West (1903-1940). E' la storia di un amore ai tempi della Hollywood in picchiata, di rapporti personali incancreniti, in balia dello show-business tutt'intorno. Non ne può uscire nulla di buono...a prescindere dall'"acume"  e dal fulgore della parte femminile.

La m.d.p. suavemente attorno a questa morbosa storia d'amore. Non saprei come altro definire questo racconto sugli ormai derelitti scambi interpersonali, dilaniati dalle menzogne dello spettacolo, discendente diretto di papà profitto.
Un'atmosfera fitzgeraldiana, tra jazz e dissolvenze, sostenuta da esperti addetti a scenografia (George James Hopkins, 1886-1985, 3 Oscar, allora quasi novantenne), costumi e fotografia.
Love Story che ruota attorno al cardine femminile. La protagonista del film è lei, Faye, una luminosa Karen Black, che con strabismo ed ocaggine fa perdere la testa a svegli e stupidi, spigliati e sfigati. Una donna, alfine. Donna che, come ogni uomo, è il frutto di un seme sociale ormai ben sterile. Creatura col proprio universo di sensazioni, emozioni. Desideri ed aspirazioni irrimediabilmente contaminati dallo sciocco mondo che la illude.
Capace di momenti davvero intensi, strazianti, come il primo gelido ballo tra la protagonista ed il "povero" Homer Simpson, o come i preziosi intermezzi felliniani, magici e popolari, del padre venditore porta a porta di un momento diverso, colorato, refuso di un'umanità già sotto terra.
Sequenze dall'improvviso effetto sferzante: il crollo scenografico. Si può intuire che Schlesinger sia il regista calzante per questo copione: graffiante, altero, ironico. E, con un finale cruento e senza assoluzioni (né facili condanne) per la società, chiuderà proprio sconvolgendo. Sino a chiedersi il motivo. Sì, perché una cosa è montare una latente rabbia dovuta a frustranti polluzioni da pollastrella, altra cosa è aprire uno squarcio tra la massa assuefatta allo spettacolo annichilente (mi raccomando, tutti in via "XX", sullo scivolo dell'inquinarmatore Costa: "Benvenuti alla felicità"!...ditelo ai morti in mare, alle frontiere o disseminati per le periferie) ed al suo mondo di plastica (sino alla tibia) per un finale allucinante. Ma John, ci pare di capire, era un tipo un po' così.
Sottotitolo: Storie da Hollywood.
(depa)

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