Uniti da un grido

Prima di parlarvi di quegli occhiali senza i quali i malanni della società proprio non sarebbero evidenti, debbo scrivere del dolore individuale, e di coppia, esploso ieri sera in Sala Valéry (sì, è ancora aperta). Si parte da una filastrocca che, più che i volteggi giovanili d'una volta, ricorda gli isterici rimpianti di oggi: "Chi ha paura di Virginia Woolf?", del 1966, è la trasposizione dello statunitense Mike Nichols (1931-2014) del soggetto teatrale omonimo scritto nel 1962 dal connazionale Edward Albee (1928-2016). Lungo un crudele percorso di spoliazione delle proprie vesti e maschere, addossatesi nell'inerzia dei giorni, si giunge infine al benefico sgomento di sé.

Testo riscritto per il grande schermo dallo sceneggiatore newyorkese Ernest Lehman (1915-2005) e sostenuto dalla raffinata fotografia di Huskell Wexler (1922-2015), questo film consegna al pubblico, ed alla storia del cinema, le interpretazioni dei quattro protagonisti e, in particolare, quella dei due principali: Elizabeth Taylor e il gallese Richard Burton. Coppia d'oro, sul palco e fuori, queste due star del cinema furono disposte a farsi strapazzare le viscere per poter giungere alle nostre.
Martha ama e odia "quella marmotta di George", incapace alle scalate che portano pellicce alle consorti, inacidito pure lui dal sempiterno stuzzicamento. La temperatura sale, dal primissimo ingresso nell'appartamento di questa middle-class persa nello spazio sociale, così come il livello alcolemico, con coefficiente sorprendentemente costante. I primissimi piani saranno infatti anche per i bicchieri passati, secondari indiziati. Dopo x bourbon che tendono all'infinito (azzerando il risultato), "le formiche domineranno il mondo!". Travolti da giravolte e sbandamenti della m.d.p., alticcia ma a sé presente, il nostro imbarazzo si trasforma in mezza euforia, ma è solo un effetto. L'orrido si spalanca sotto i piedi dei protagonisti, che reagiscono issandosi sul crescendo di crudeltà umana con artigli, massacri verbali e intenti omicidi.
La notte campale di George e Martha, quella dopo la quale "non si potrà tornare indietro", quella che schianta lo specchio delle labili certezze, da cui il esala sadismo naturale dei nostri luoghi. Ma Martha odia ed ama George, l'unico a commettere l'odioso errore di volerle bene; al suo confronto, pure il fusto biondo da farci un giro appena possibile, non solo si rivelerà "niente di che", ma non andrà oltre il "vedere animaletti e cacatine".
Elizabeth Taylor monumentale. Monologo finale quasi stancante, fisicamente, opprimente lo spirito, è dura tenere gli occhi sulla disperazione di Martha. "Finzione e verità" si raggiungono sino a toccarsi, in cima a certi NO! gridati.
(depa)

Ps: oltre ai quattro principali interpreti, solo due altre fugaci comparse: Agnes e Frank Flanagan: parenti del musicista William Flanagan, compagno del drammaturgo Edward Albee, scomparso nel 1969?

Nessun commento:

Posta un commento