Idea tradita non muore

Fortuna che qualcuno, di tanto in, ha la salvifica idea di portare nelle sale film di trent'anni fa ed oltre; il "Sivori" lo fa spesso e, vista la presenza di ieri nella grande Sala 1 per "Allonsanfàn" dei fratelli Taviani, ottenendo pure discreti risultati. Questa pellicola del 1974, sguardo magico sulla memoria storica di un'Italia "negli anni della Restaurazione", è un racconto amaro di un entusiasmo sopito, di un'idea, la solita, di giustizia e libertà, tradita da un animo malfermo; la storia di Fulvio Imbriani e dei "Fratelli Sublimi", individuo tra individui, uniti a tracciar l'inesorabile tragitto.

Per la prima volta sulle ammaglianti note di Ennio Morricone, con grandi protagonisti del cinema italiano (Marcello Mastroianni, Lea Massari, Laura Betti...), ottimi gregari (Claudio Cassinelli e Bruno Cirino, entrambi scomparsi prematuramente) e intraprendenti nuove leve (il croato  Stanko Molnar, il libanese Benjamin Lev...) a propria disposizione, i fratelli di San Miniato realizzano una vigorosa opera sui moti rivoluzionati dell'animo, lungo il saliscendi degli anni rabbiosi e liberatori, poi appaganti e riposanti, sino ai participi passati di un rapporto sessuale comodo e pulito.
Insurrezioni sedate da un "Dirindindìn Dirindindìn" fogarino dal mentiroso sabor ancestrale, rivolte nate sotto porticati bianchi e cresciute nel rettangolo specchiante di sé. Ben poche speranze. Fulvio Imbriani non ha tradito ma tradisce, non tradisce ma lo farà; sterile rincorsa di un'idea che vacilla ("corre dietro a faville che sono già cenere", proietta sugli altri). L'intimo scontro è tragicomico, per sé, per i compagni ("Dovevi farlo, Ester, ma non dirmelo").
Il guazzabuglio che spiana le terre agli sfruttatori (militari, clero, stati) ha pure bisogno di occhi di bambino dove, si sa, per i Taviani può esservi racchiuso il significato del mondo intero.
Sceneggiatura azzeccata, atmosfera magica dei moti autentici ma deboli, resa con regia variegatissima (dal picaresco all'aulico, come Fellini e altri insegnarono) e recitazione che, seppur affetta dalla solita forma di italianità (il Lionello, ad esempio, o il "divo" del titolo), poggia su interpreti ben piazzati. Tra i miei preferiti dei sublimi Paolo e Vittorio Taviani.
(depa)

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