L'amore è un rimpianto

Japan, again Japan. Recupero di una proposta persa. Ed ecco che  in sala Valéry sono passati i "vagabondi legati", uniti dalla corda rosso di dolore che, nel 2002, intesse per loro Takeshi Kitano. "Dolls" è un'oscillazione del regista giapponese tra gli intensi, creativi e un po' kitsch colori dei cuori infranti. Tranquilli, c'è uno Jakuza anche qui, perché ogni tipo di successo lascia per strada i trofei più preziosi.

"K - Office Kitano" dietro a questa produzione nipponica che permette al regista di ambire senza remore al mercato internazionale. Non solo, a salpare dalle isole del Sol Levante non sarà l'ironica violenza che è marchio registrato di Kitano; bensì il suo romanticismo represso, nemmeno così tanto, nelle sue opere precedenti. L'amara sorte d'una farfalla schiacciata. Dopo la splendida introduzione, con le celeberrime marionette...Bunraku (?) che sublimano quanta fuga e dolore intercorrano tra due creature, inizia il racconto di questi amori traditi e rimpianti. Dopo un fugace accenno al pregresso che ha condotto i protagonisti a questa valle di silenzi e follia, s'avanzerà, di strazio in strazio (la pipa soffia...senza pallina), di immagine in delicata composizione, tra colori che spiccano come fiori di città.
I barboni, si sa, hanno più strada da raccontare...perciò ha senso lasciarsi indicare il cammino senza una voce, ma con la traiettoria dei corpi. Insistente quanto vuole, Kitano si prende il suo tempo per lasciare che l'oscillazione del suo intimo pendolo emotivo tra violenza e romanticismo (di cui parla nell'intervista tra gli "Extra" del DVD), gli riporti i due protagonisti un po' più maturi, forse uniti, comunque differenti. Tra le sue considerazioni finali, quelle sul cinema globalizzato, un prato tristemente incontaminato dove Kitano auspica nasca e cresca altra '"erba matta", come lui stesso si considera. Poi la presenza dell'automutilazione tra i temi più presenti nei romanzi e film giapponesi.
Interessante questa applicazione rosa del minimalismo kitaniano (tra cui la recitazione essenziale a cui dichiara di essersi dovuta adattare l'interprete femminile), cui corrispondono alcune visioni apertamente pacchiane (la pop starmanga idol...o cumme se ciamman sti zunzuri!) che, dopotutto, instillano l'ironia del regista che, un po' distratto, pensavo fosse stata lasciata fuori da quest'opera sentimentale.
Da provare.
(depa

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