"La fottuta impermanenza"

Dopo aver visto il trailer svariate volte, andare al cinema per "The party" (2017), l'ultimo film della londinese Sally Potter, è stimolante per capire se le promesse, invero niente di esorbitante per un cinefilo minimamente maturo, sono state mantenute o se la consueta foga promozionale abbia nuovamente preso la mano ai suoi autori, portandoli semplicemente a travisare per l'avvilente dollaro in più. Perché, vista l'anteprima, è chiaro a quale tipo di film si assisterà e su quali meccanismi poggerà. Proprio per questo, la materia in mano alla Potter si fa bollente da maneggiare. Vediamo un po'...

Titoli di testa classici, essenziali, chiari ad introdurre protagonisti (in ordine alfabetico!) e autori di questo kammerspiel al massacro, carneficina da camera. Format topico del cinema, già visto più volte e di cui, claro que sì, Polanski ultimamente diede ottima forma, va detto subito che "The party" non raggiungerà la violenza di altre opere. Qui l'atmosfera british da labour party ammanterà, involontariamente ma non poteva essere altrimenti, i tentativi di esplosione. In compenso, la scelta della formazione titolare è il punto di forza di quest'opera. Prego, acid humour? Ci penserà l'ottima interpretazione della statunitense Patricia Clarkson. Vuoi l'insicurezza atavica di chi cerca soddisfazione in una società che non la può dare? Dritta dalla Cornovaglia, ecco la perfetta Kristin Scott Thomas. Bisogno di sbigottimento non privo di tannino? Il muso e le pupille del londinese Timothy Spall calzeranno. L'irlandese Ciliam Murphy, poi, ha il vizietto scolpito sulle linee del volto. A proposito della componente stupefacente: in effetti gran parte dello scalpore, ancora una volta, poggia sul cocainomane. L'ennesima tossicodipendenza sfruttata come stuzzicante quid che soddisfi impiegati e impellicciate. E che, in qualche modo, faccia tornare i conti. Prima nota stonata. Possibile che con tutte le magagne che la nostra società perpetra impunemente, si debba ricorrere sempre a Bacco e Strafatto?
Insomma, non v'è traccia della pluralità dell'anteprima (in sé perfetta, proprio perché sopravvalutante). Solo una commedia riuscita, che si accontenta di una ricetta assodata, di schemi già confermati, mai impugnati e fatti propri o comunque non resi con maestria sorprendente.
Come detto, ottime interpretazioni, ritmo sufficiente, battute godibili scambiate in un elegante, ma sobrio, appartamento londinese dove le variegate note dell'ospite di casa (classica, rock, reggae...) si intrecciano con quelle di misteriosi elicotteri cui siamo sempre più abituati. La "Fecondazione in vitreo è un miracolo", ecco che si tocca un altro tema della nostra società da laboratorio, di cui la dipendenza dal denaro, questa sì tossica, è solo uno delle molte manifestazioni (come la credenza che una persona al ministero o per altre vie istituzionali possa aver "cercato di fare in grande"). Tutti elementi presenti e desumibili dal trailer, cui la visione del film in effetti aggiunge ben poco. Di certo il finale che, per quanto riuscito nell'effetto, risulta pure troppo scaltro e semplice.
(depa)

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