Il Ghigno dello Yakuza

Accomodato nella fredda in celsius, ma calda in celluloide, saletta cinematografica dell'"Altrove", in questi giorni c'è Takeshi Kitano. Grazie all'invito dei ragazzi del Laboratorio Probabile Bellamy, lunedì scorso, il regista giapponese del crimine beffardo s'è presentato con la bobina di "Sonatine". Presentato a Cannes 1993 è il film che esportò ufficialmente Kitano per le sale del mondo. Amante di Takeshi Beat, il Cinerofum potrebbe ghignare dinanzi a qualsiasi violenza, se marcata a fuoco nel piombo dalla poetica del regista.

Ancora una volta Elena ho toccato con mano l'appeal che Kitano sprigiona. Appiglio che riempie le sale di spettatori di tutte le età, ma che nei giovani trova ancora più presa. Sorprendentemente. Perché, nonostante il pubblico sedicente smaliziato dichiarerà ancora una volta una cosa ("Olè!"), in realtà, nell'intimo, si chiederà perché mai questa autorialità nelle pellicole di Kitano non debba essere additata a sopracciglia compresse ("Mah!"). Perché, diciamolo, se nell'ironica e roboante violenza POP di Tarantino l'accordo è trovato da tutti senza screzi, in Kitano si fa più fatica (la Elena confermerà). Questo accade poiché Kitano è più coraggioso, non plasma la sua arte in base alla richiesta (cosa di cui su Tarantino di può quantomeno dubitare, almeno in alcune opere), bensì la impone: silenzi, ghigni, ironia "tirata", ripetitività, immobilità, minimalismi. Questo alla lunga determina la qualità dell'artista. In tal senso, solitamente si parte con le sale piene, giungendo in numero minore a fine retrospettiva.
Veniamo a questo capitolo della sua filmografia: Takeshi sguardo fisso, dialoghi essenziali e una "scanzonata" gita sul pulmino pieno di Yakuza verso una festicciola tra affiliati e rivali. Ci sarà una "deviazione" e allora i mercenari d'onore si prenderanno una vacanza, l'ultima. L'allegra dimensione del gioco nel mondo dei duri ha un sapore particolare; le parentesi d'ozio, per questi gangster efferati, paiono un bugiardo ritorno all'infanzia. Il ghigno di Murakawa è promessa oscura, l'esito ignoto (solo i sogni raccontano la verità).
Nel limbo dei dannati con la pistola, deserti e silenzi dal respiro minimale si alternano a prosceni affollati di dettagli (o camicie) rumorosi.
Un intimo ed isolato canto del ghigno.
(depa)

PS: a fine visione, a furia di scherzarci su, pure la beffa di una bobina dall'ordine impazzito ("eh, ci è arrivata così dalla cineteca di...!"). Sarà. Facciamo che la prossima volta non lo dite; meglio. Perché se ha vinto la verità, ha perso il rispetto. Non per noi, per Takeshi!

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