Hongollywood uatà

A volte va così. Tieni alla larga le TV per anni, poi passi in sala Valéry e scopri che, a mezzanotte, inizia un film cui non vuoi rinunciare. Né "puoi"? Beh dipende dall'obiettivo. Ad ogni modo, diamoglielo a Cesare: "Tele7Gold spigne cinema" (certamente anche materassi aerospaziali in promozione...). Ieri sera, per esempio, la volitiva emittente, dopo i soliti sproloqui calcistici in salsa padana, ha proposto quella che potrebbe definirsi una chicca: "Once a thief", del 1991, scritto e diretto da John Woo. Non vi si può rinunciare perché, per capire l'arte del regista cinese, è bene conoscere le opere che lo celebrarono in patria e resero noto internazionalmente. Per quanto riguarda il goloso dolcetto, il condizionale è esatto.

C'è qualcosa di acerbo, o casereccio se vogliamo (qualcuno direbbe grossolano), nei film di Woo. Non può essere solo il contesto (pure China '80), ma dev'esserci una scelta stilistica (e commerciale) cosciente. Questi tre allegri ragazzi dall'infanzia difficile che, sempre sul ciglio dell'ultimo colpo, vorrebbero uscirne e cui mancano i tagliolini cinesi, i tram (?!) e che urlano "Brigitte sei qui?" per la sola soddisfazione del regista, vengono pedinati con gioviali entusiasmi e repentine commozioni. Come un regista dai nervi sfibrati, Woo accosta grandangoli a primi piani, montando al loro fianco inquadrature ed obiettivi che in apparenza non paiono comprendersi: massima dinamicità. 
La storia ha comunque dato ragione alla spregiudicatezza dell'autore cinese: musica classica su sequenze slapstick al rallenti e fermi immagine tipici del genere comico buttati nel mezzo di sanguinosi scontri a fuoco. Tutti gli ingredienti del blockbuster americano importati ad Hong Kong per sfornarne altri 1000 (in realtà sarà Hollywood a portarsi Woo a casa). Luci e colori declinati in action movie per infanti, tutti i sensi convocati; anche l'udito, tra silenzi interrotti da sinistri stridori, musiche assordanti e voci sovrapposte. Senza rinunciare agli immancabili calci volanti e salti mortali. 
Non nego vi sia un qualche magnetismo in queste sequenze rapide e scanzonate, ma personalmente non riesco ad andare oltre. Per dire: i "nostri" simpaticoni dinanzi alla classica griglia di infrarossi fanno il limbo con gotti sul naso...(poi verranno schiaffo e cura, con Costa Azzurra sullo sfondo). O gli "elementari" momenti esorcizzanti dolorosi ricordi: sorrisi di gruppo da spot pubblicitario. O le sequenze a dir poco mirabolanti su cui gli autori hanno pensato bene di piazzare un'allegra "Traviata".
E' vero che in John Woo anche un inseguimento in un parcheggio diventa spettacolare. Ma per uscire dall'angusto cinema di genere, serve altro.
Il regista probabilmente non lo chiede nemmeno, eccitandosi per un arpione che ammazza e s'aggancia: ecco l'essenza di John Woo già da Missione Impossibile.
Insomma Woo implica un andamento oscillante tra autentico trash, d'autore se vogliamo, e indiscutibile sensibilità autoriale (la danza in sedie a rotelle, o i molti efficaci montaggi).
Sentimenti a grana grossa, quindi, che possono arrivare a fondo più rapidamente, ma dalle fattezze non certo affascinanti. Va detto che l'ironia copre tutto e, in questo senso, i due astri nascenti cinesi ce la mettono tutta (Chow Yun-Fat grande nei panni di un paralizzato mai domo: come abbia salito quelle scale, però, non dimandate).
La scherzosa clip conclusiva, fugando ogni dubbio, la dice lunga sulla corretta dose di serietà con cui approcciare il film, per stessa prescrizione del regista.
(depa)

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