Le bagasce, il trans e la mocciosa

Il terzo appuntamento coll'"FNCE", cioè il cinema degli esordienti europei, ospitato anche quest'anno all'"Altrove", ha portato in sala la pellicola spagnola "La porta aperta", del 2016, diretta dall'argentina classe '69 Marina Seresesky. Commedia di estrema delicatezza e ironia, accentuate da un humour nero tutto ispanico che fa sorridere e pesare meno il tempo che corre, ha dalla sua tutto il necessaire: scrittura, interpretazioni e regia. Fosse stato in concorso avrebbe vinto: non lo dico io (malpensanti), ma le reazioni del pubblico a fine visione.

A volte gli incipit dei film la dicono già lunga su ciò che scorrerà sullo schermo. La grande sequenza iniziale di questo, secondo me, è una di queste. Melodie e colori iberici accolgono lo spettatore nell'appartamento dove la diva Sara Montiel sparge le note della sua "Fantasia...de un mundo maravilloso!" e in cui tutto si svolgerà. Ci sono poi film che puntano tutto sul lato drammatico, spesso interpellando un taglio realistico, o su quello comico, nascondendosi magari dietro ad un grottesco mal amministrato. Pochi sono invece quei film che danzano con grazia sulla linea sottile della commedia intelligente. "La puerta abierta" è tra questi.
La Sereseski ha raggiunto tale risultato grazie ad una sceneggiatura riuscita, dove piccoli grandi fatti vengono lavorati con cura, plasmati con delicatezza, aggraziati da dialoghi perfetti, dove grandiosi personaggi s'incastrano rigorosamente, innalzando un'atmosfera che travolge e appassiona. Una vecchia diva da rivista mattatrice di fedi nuziali, sfiorita ma ancora ben salda in stelo, la figlia aggiornata ai marciapiedi, e il variopinto vicinato: un trans dal cuore e l'energia che possono salvarti la vita, una dolcissima neo orfana russa che, unita al primo/a, possono renderti regina (impossibile resistere allo sguardo innocente e scosso della tenera protagonista: "Quando non riuscivo a dormire mia madre mi cantava una ninna nanna. Vuoi che TE la canti?"); poi una prostituta provocante quanto strillona, una portinaia pettegola e cornuta. Vale la pena citare gli interpreti dei tre ruoli principali: una storica colonna del cinema spagnolo, Terele Pávez (scomparsa settantottenne lo scorso agosto), nei panni dell'ex sciupauomini d'alto bordo Antonia; quindi Carmen Machi, la madrilena 1963 che Almodovar si porta siempre a presso, è Rosa la nuova generazione dei fiori di cemento; infine Asier Etxeandía, basco classe '75, che con la sua Lupita regalerà le battute migliori: "Alla troia di tua madre, che riposi in pace!" (sorseggiando vodka con una settenne) o "Una vodka non è bere".
Mi ripeto: ben girato, scritto, interpretato, così come ho trovato curate musiche e scenografia (interni ed esterni: nei frammenti di strada non mancano mai manifesti suoi muri). Fare commedia così semplici e profonde non è facile, senza scivolare e sbattere smalto e bijoux a terra. Questo film regge dall'inizio alla fine, con un finale asciutto, giusto.
Per le città si spandono, in forma sempre più aggressiva, falsità, egoismo, ipocrisia. Stare uniti e creare spazi di condivisione e solidarietà paiono gli unici modi per sfuggire alla feroce guerra in atto tra i poveri. Dall'altra parte della barricata, e nel film, momenti di profonda sensibilità e autentica solidarietà.
Non in concorso, ma il voto lo do comunque: 8
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento