Maledette

Il giugno 2017 verrà ricordato come il mese di Fritz Lang. In sala Valéry, ieri sera, un'altra perla "prodotta e diretta" dal regista austriaco nel 1945, nel suo lungo periodo hollywoodiano: "La strada scarlatta" comincia come un gioco a tre e conduce alla disfatta di tutti. La malafemmina, il magnaccia e lo stupido...ma, come in ogni grande opera, i personaggi hanno contorni sfumati e su tutti incombe la società del consumo e dell'apparenza.

Sulle orme de "La Cagna", romanzo francese omonimo da cui già Renoir, Lang muove inevitabilmente i primi passi nella cloaca della misoginia più aggressiva, ma chiude in cima al Duomo: senza speranze per l'intero genere umano. Lo stereotipo della donna infingarda (e mettiamoci anche quello della rompipalle) resta comunque inesorabilmente diluito nella bellezza, non tanto della protagonista (eh, non sarebbe valido...), quanto delle immagini. Scenografia e m.d.p. fanno all'amore, avvoltolandosi tra le luci, ombre, oggetti e corpi (al contrario del protagonista, l'autore aveva il senso della prospettiva: sia visiva, sia intellettiva). In questo film avvincente che, come detto, dal rosa tenue vira vigoroso verso il dark disperato, è presente ogni possibile piano, Lang si appropria di tutti gli spazi possibili, divenendo padrone della scena.
La colonna sonora questa volta c'è ed avvolge gli strepitosi quadretti, ogni cosa al proprio posto. I "giochi" si reggono quasi sempre su malintesi, figuriamoci quando i tre protagonisti sono annoverabili nella Hall of Fame degli idioti. La vena comica non può abbandonare il racconto, almeno sino al gran finale, dove il lato tragico esplode grazie soprattutto al volto sconvolto di Edward G. Robinson. Accanto a questo mostro della recitazione, altri due moschettieri: la femme fatale de l i mortacci sua Joan Bennet non è incantevole come la bionda che passa, ma ha dalla sua sguardo e corpo che possono bastare; il ruffiano ricattatore è  "sempre" lui, Dan Duryea, un cattivo con PhD on Sadism. Questo trio ha spaccato.
Sceneggiatura intrigante con dettagli sfiziosi, rivelanti il gusto del regista per i doppi giochi, i differenti ruoli, le variopinte apparenze (l'adorato ritratto del capo di polizia decorato, bestia corrotta, è una chicca). Il pianto in riso, il buono in cattivo. Il vice nel verso. Colpevole e innocente dipendono dal momento. Immaginatevi, quindi, l'ultimo attimo di questo memorabile crescendo d'intensità.
(depa)

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