Divieto di malinconia

Pasqua al cinema! Un vero cinefilo non ha tabù calendariali, men che meno religiosi. Difatti in salita Santa Caterina c'eravamo tutti e quattro: Elena, Baraka, Mino ed Io. E per chi o cosa quest'assembramento degno di articolo 655 c.p.p.? Ma per Aki Kaurismäki e il suo ultimo film, "L'altro volto della speranza", Orso d'Argento miglior regia a Berlino 2016! Fedele a se stesso (meno male), il regista finlandese aduna qualcuno dei soliti più una banda tutta nuova per mostrare, col suo solito tocco, quanta idiozia s'aggira ancora per l'Europa (altro che spettri).

Il poetico minimalismo di Kaurismäki è lì sullo schermo. I protagonisti, poveri dimenticati dai più, guardano perplessi il mondo che li circonda. Reagire sarebbe peggio ma, d'altro canto, nemmeno apparire tristi sarebbe una mossa vincente ("Soprattutto sorridi, non essere malinconico: sono i primi che cacciano via"). Un'altra pellicola sul tema dell'emigrazione forzata (sia andata, sia ritorno), che diviene affresco complessivo della bruttura umana. La musica dà il consueto formidabile contributo estraniante: rock dalle parole incomprensibili, Do You Know? Scenografia (vetture comprese ) e fotografia (luci incluse) permettono i quadretti che pretendiamo dal nostro amico Aki, dall'estetica ricercata e sempre funzionale al racconto; una sorta di contrappunto che rende maggiore onore a questi uomini semplici, ma enormi. 
Se proprio debbo trovare un difetto in questo capitolo della filmografia di Kaurismäki, è il minor respiro...(tormentone questo dannato respiro!). La storia, per certi versi è meno universale del solito. Un migrante è universale, l'odio che si attira addosso, invece, ha mille declinazioni. Qui, dopotutto, si tratta dei soliti tre/quattro deficienti rasati e persi. Avrei infilato nel racconto anche qualche altro animale, altri lupi, altri sciacalli, altre iene. Il clima generale è davvero positivo, nonostante le vicissitudini di Khaled, e ciò non è il marchio di fabbrica dei lavori del regista che, anzi, fa della sua arte una dolceamara commistione di gioia e infamia.
Quindi se da un lato ho trovato una ripresentazione in "sottotono" dei suoi precedenti (oltre al "miracolo normanno", mi vengono in mente quelle "nuvole" là), dall'altro c'è una sintesi ancor più spinta.
Detto ciò, l'attenzione ai dettagli del regista finnico consente molte altre riflessioni, con acume e delicatezza. Quelle doti che gli Stati dovrebbero mettere in pratica, ma capite bene che non si può chiedere ad un o sfruttattore di liberare la propria fonte di guadagno.
(depa)

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