Guardalo, ascoltalo!

Alla sala Valéry, ieri sera, è stata regalata l'illusione d'essere affollata. Poveretta. La presenza di Chiara e Mino le ha regalato attimi di vera commozione. Le lacrime, però, non han bagnato alcunché, raggelate dalla figura del folle protagonista e dalla cupa e braccata atmosfera di "La morte corre sul fiume". Opera unica dell'attore inglese Charles Laughton, datata 1955, è pervasa del carattere sfrontato e anticonformista dello psico-pastore, diabolico e sornione, interpretato da un grande Robert Mitchum.

Incipit geniale: una voce salmodiante fuori campo che, dalla dimensione degli angeli e dei buoni, va a "scontrarsi" con la realtà dei fatti, cioè Lui; il criminale più pauroso, poiché imprevedibile. La m.d.p. si '"aggancerà" quindi al protagonista, come in cerca della prova effettiva della necessità di una costante litania per non precipitare tra le tenebre (capiterà anche con l'apparizione dello "zingaro" e il cavallo). Ma le speranze sono a quota zero. Con molta calma, senza fretta, la linea dell'orizzonte d'incrinerà e a nulla servirà...credere.
Gioca sfacciatamente a carte scoperte, Laughton. La tensione è tutta visiva, seppur chiara, anche se cupa (?!). Come insegnò "Hitch", a volte è l'ignoto a terrorizzare, altre volte è il fin troppo noto. Noi sappiamo tutto, quei poveri bambini anche. Ed è per questo che fuggono, sino ad affezionarsi al proprio carnefice (perché, diciamolo, ha uno "stile incommensurabile", cit).
"Film teatrale, disegnato", commenta Mino a fine visione, sottolineando l'ottima, ricercata fotografia. La Chia, dal canto suo, pare ancora preoccupata per l'immagine dell'angelica madre parcheggiata sul letto del fiume. Schemi disintegrati, thriller alla Nouvelle Vague, aggiungo io, una fuga che rotola in avanti, spinta dalla corrente; andamento, personaggi e dialoghi che risultano avanti rispetto all'anno della realizzazione (e comunque sorprendenti per un regista novizio, nonostante la grande esperienza attoriale). Facile intravedere, là sotto, un gobbo stilistico per il Quentin che verrà.
Pellicola difficile da inquadrare a causa del suo insano sgusciare; per palati fini, o rudi (che poi è lo stesso). Ad ogni modo, proprio per questa sua originalità, in effetti deve essere visto.
Grazie a Chiara e Mino per la soddisfazione, seppur bugiarda, regalata alla sala Valéry.
(depa)

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