Sete di Libertà

Nell'ambito dell'interessante progetto "Zones Portuaires", accanto ad altre iniziative, anche il cinema vuole e racconta la sua parte. Al "Sivori", ieri sera, è stato proiettato "La nave dolce", documentario di produzione italoalbanese, diretto dal laziale Daniele Vicari nel 2012 e incentrato su un episodio ormai dimenticato, le cui immagini sono una lontana impressione su qualche retina di fanciullo. La traversata adriatica, da Durazzo a Bari, compiuta dalla portarinfuse "Vlora" l'8 agosto 1991.

Mentre qualcuno stava ancora festeggiando uno Scudetto unico (rimasto tale e, quindi, infinito), proprio nei pressi dei cantieri dove fu costruito il suddetto mercantile, dalla parte opposta dello Stivale prendeva il largo, per poi arenarsi, uno dei racconti più assurdi, tragici e liberatori, che la televisione pubblica moderna abbia potuto immortalare.
Surreale: perché per spingere e costringere più di 20.000 persone a mollare tutto, sul momento, e fuggire dalla propria terra (affetti, interessi, averi), qualcosa di strano dev'essere forzatamente accaduto. Ventimila albanesi che, su una popolazione totale di 3 milioni circa, senza averlo progettato (invero qualcuno fu trascinato dalla folla senza avere chiaro né i propri propositi né quelli degli altri), decisero di salire sulla "Vlora" per fare qualcosa, per scappare, per cambiare le cose...potrebbe voler dire che, forse, nei dintorni di Tirana la gente non se la passasse così bene.
Eccoli gli Stati moderni, a considerare gli individui merce propria; da ingabbiare o espellere, in base al vantaggio del momento. Eccole le pseudo-democrazie impersonate e, purtroppo acclamate, nei soliti dementi da effige (viene il dubbio che ci sia la selezione all'ingresso). Seguendo le vicissitudini di questa massa di uomini in slancio verso una libertà immaginaria, le riflessioni s'accavallano onda su onda. Con spavento e no, ad esempio, ci si può chiedere se la vita di chi può comprare sia davvero la migliore. Ma ovviamente chi sta 50 anni in carcere pensa a scappare, anche a rischio di quella vita che, chissà, potrebbe offrire ben poco di più. Ci si emoziona, guardando questo documentario, può venire la pelle d'oca, perché il tema è sempre rovente e lo sarà finché gli Stati continueranno ad assurgersi a padri di famiglia o infami carcerieri.
L'estetica del documentario è la stessa già vista in "Diaz", con quel goccio di spettacolarizzazione che non inficia le riflessioni.
Come si fa ad essere cresciuti con queste immagini negli occhi, pelle arancione interrotta da qualche straccio, ed essere ancora illusi dalle menzogne degli Stati? O, peggio, mostrare la grinta di chi si sente, massimo della demenza, a difesa di questo stessi Stati? Magari, gridandolo, manco fosse un valore, a chi viene a noi proprio per ricordarci, rantolo senza sandali, che gli Stati affamano ed ammazzano?
Solo qualche responsabile portuale a stupirsi del trattamento incivile da parte del goffo Stato Italiano verso uomini chiedenti soccorso (eccolo, il "gran statista" Cossiga, in tutta la sua incapace idiozia); anche oggi sarebbero gli unici, questo è ciò che più preoccupa: l'opinione pubblica rinchiuderebbe un'altra volta 20.000 stranieri in uno stadio, per una settimana, lanciando cibo con catapulte ed elicotteri. Come chiedere di più a dirigenti e dipendenti di tal guisa (forze del disordine nemmeno in grado di fare manovra in retromarcia...)? Le menti non si sono allargate di un cm. Il fallimento è totale.
Davvero credibile, ma ugualmente allucinante, questo fatto storico dev'essere meditato anche per cavarne tutto il buono che c'è. Nella tragedia, la folgore di un fatto diverso, improvviso, libertario, che acceca con un, seppur fugace, raggio disobbediente. Qualcuno di Loro l'avrà pur vissuta come un insperato guizzo di Libertà; quando, frammista alla disperazione, una gioiosa vibrazione s'arrampica lungo lo spirito. Sì, ne sono sicuro.
Intelligente nello svolgimento, retorica corretta quando necessario, Vicari è anche attento alla sobrietà nel chiudere (solo la didascalia finale è un po' approssimativa).
La figura indecorosa, invece, quella vera, chi l'ha fatta?
Un bicchiere in alto a quei 1500 liberati, chi sà dove e per quanto.
(depa)

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