Il raggio più bello...

Non si può più parlare di stupore. O forse sì? Heywood Allen, Allan Stewart Königsberg, a.k.a. Woody Allen, ottantun anni a dicembre, continua nella sua fabbricazione magica. Un'epoca ed una città lontane, entrambe care al regista newyorkese, a far da sfondo alla sbandata più dolce e fulminea. Dopotutto cos'è questa nostra apparizione, l'esistenza, se non un radioso e mendace balzo in terra natia?
Elena ed io, Fedelissimi '81, al Sivori per "Café society".

La m.d.p. è il rutilante occhio di un bambino che osserva, trasognante, La Storia spandersi nel quartiere e brulicare tutt'attorno. Quella raccontata, ancora una volta, è la sua Manhattan, la New York Anni '30, che mai dimenticherà. Difficile per chiunque, ormai, data la sequenza preziosa e copiosa di scorci donati lungo tutta la sua filmografia. Immagini che Woody ci ha ficcate in fondo al cranio. Ce l'hai fatta Woody, tutti amiamo New York. Antiamericani convinti, niente: stesi, inebetiti con addosso un cuore rosso tra I e NY.
Ancora una volta a chiedermi e chiedervi: cosa c'è che non va in Woody? La ripetitività? Ma un bel film me lo rivedo 10 volte. Un bel libro pure, un quadro anche. Per non parlare di un album. Scalando: molti autori letterari si ripetono; i libri di Steinbeck sono capolavori simili tra loro, così quelli di Roth, per non parlare, in fondo alla valle, dei lavoretti di Vitali, Corona, etc...; ma la gente li compra. Folle di pazzi si accalcano per l'ultimo libro di 'sta cippa di mago; schiere di adolescenti più o meno cresciuti si definiscono estimatrici di Tolkien (e di nessun altro...). I dischi di un artista musicale spesso sono ben riconducibili tra loro, ma chi non correrebbe con entusiasmo verso quelle, e proprio solo quelle melodie che aspettiamo con fame e desiderio da mesi? Quindi la ripetizione non può essere il nodo della questione. Sotto c'è altro, sorta di snobismo (misto ad ingratitudine, in questo caso) che caratterizza il nuovo approccio all'arte di questo vuoto XXI°. Sfilacciamento delle sensibilità, accessibilità per tutti che, ad oggi, vuol dire consumabilità che stia dietro alla produttività. Bisognerà inventarsi altro, nuove arti, tabula rasa per un consumo più cosciente.
O forse è il soggetto storia che non appassiona? Ma come? Sul video nulla più (né meno) che una commedia dai tempi perfetti, dalla fotografia d'incanto (Vittorio Storaro), dalla regia sorprendentemente matura (movimenti eleganti che non si vedevano da un po' in Woody) e dagli interpreti di prim'ordine, con in bocca espressioni giuste e dialoghi esatti. Sin dal primissimo occhiello, quest'ultimo Woody ha una bellezza digitale che mi acceca ed affascina: al mio sguardo quintessenza della sua commedia, battuta acuta e pacca affettuosa.
Presunti esperti di cinema, come me, dovrebbero entrare più spesso nelle multi-sale e vedere con occhio ciò che le grandi distribuzioni propinano. E, viceversa, non farebbe male ai seguaci di commediucole con Buy e Angiolini varie o dell'ennesima animazione ("perché sai coi bimbi"...come se prima dei felici arrivi alternassero Godard e Bergman; e come se non fossero, tutti, coloratamente, "tutti uguali"), osservare il film di Allen. Il confronto come strumento base per costruire un'idea propria. Ad esempio, per discernere il film di un artigiano appassionato (che si ripete incessantemente come un vecchio falegname, e sia!), dalla pellicola di un abile venditore dai contatti importanti (proprio come il vuoto coprotagonista di questa pellicola). Alla faccia di quella storia della disputa dei gusti.
I film di Allen non si schivano per parlarne male ad un cocktail. Si guardano, in silenzio ("Respect!"). Accompagnando per mano i suoi personaggi, tra le vicissitudini e le turbe, sempre ugualmente dolci, divertenti e complessi. Ancora e ancora, ripetitivamente intelligenti, amabili, tipici e universali.
Visto che po' po' di strampalate che ho scritto? Colpa di Woody, sempre pronto a porre a rompicollo il mio cervello immaturo.
(depa)

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