Altri fuori per altri dentro

Due sere or sono, sempre in sala Valéry, ho portato a termine l'affascinante viaggio lungo il crinale psicomagico di Alejandro Jodorowsky, proposto dalla ditta "Fra & Mino". A colui che non si definirebbe "né mistico, solo perché tocco temi che altri schivano, né artista", il regista francese Louis Mouchet, nel 1994, dedicò un documentario che parte in sordina, didascalicamente, per poi esplodere negli infiniti possibili dell'esploratore cileno. "La costellazione Jodorowsky".

Durante l'interessante chiacchierata avec alcuni suoi celebri amici (Marcel Marceau, Fernando Arrabal, Peter Gabriel, "Moebius" e un tizio, Jean Pierre Vignau), uno Jodo maturo, ormai umile e quasi modesto, butta giù le carte: sono un giocatore. Lo sai da molto tempo, caro Jodo, non sminuire la tua arte (ops) lucida e sognatrice. "O l'assurdo o il mistero? No, l'incertezza", ipotizza l'artista spagnolo Arrabal, il quale poi descrive l'autore panico sudamericano come "un talento folle, ma con una sua matematica; lui è un folle matematico, divino; costruttivista; non c'è talento senza follia". E' bello sorprendere Jodo ad emozionarsi nel ripensare al suo Topo, opera giovanile, che rinnegò ma in cui oggi riconosce la propria "implacabile" pulsione verso un arte pura (al di là delle reazioni "assassine" di allora, del pubblico messicano) e di cui, con la maturità, si professa orgoglioso. Cazzo che stile che ha Jodo. Illuminante sulla famiglia (eredità nociva di cui sbarazzarsi) e sulla concezione stessa dell'individuo. E, sul finire, il documentario prende il volo, il viaggio si fa sconvolgente, gratificante; si migliora passeggiando nel mondo di questo genio, detto senza esagerazioni ed iperboli, perché dopo tutto non è nulla di che, ce ne sono, basta scovarli (e sperare che abbiano voglia di trascorrere un po' con noi). Bisogna poi metterci del proprio, è quello che chiede Jodorowsky (ecco, il cameraman problematico non mi è parso il più ricettivo). Nell'extra, il critico d'arte Antonio Bertoli (scomparso a 57 anni, l'ottobre scorso), amico del regista e anche lui protagonista di un crescendo avvincente, mette bene in luce "l'operazione semantica" di Jodo, questo "suo gioco re-evoluzionario". L'arte ha il dovere, non solo "la possibilità di [...] cambiare l'individuo", aggiungo io premendo "stop". Ma allora, Jodo, un po' artista lo sei.
(depa)

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