Terra dagli occhi tristi

Proseguendo lungo il percorso del "Nuovo Cinema Teheran", domenica scorsa ho fatto tappa presso "Nahid", pellicola d'esordio della regista iraniana, classe 1980, Ida Panahandeh. Si tratta della storia di miseria e d'amore della bella e tenace Nahid, disperatamente braccata da leggi e regole non scritte assurde, ma sempre pronta a procedere, a qualunque costo.

Non che Nahid non abbia i naturali sbandamenti dell'individuo accerchiato, ma se in una direzione v'è un muro, spinge, sbatte, preme, poi si volta e prova da un'altra parte. Incessantemente, è una frenesia per sopravvivenza, si sta su coi soli nervi, "chi si ferma e perduto". L'amore, anzi, è una pericolosa distrazione. Una delle tante vite non permesse, un'altra esistenza ferita, pervasa da sentimenti ingabbiati. Altri bellissimi occhi costretti a non librarsi.
Il film, diversamente da lei, segue la protagonista con lentezza e pudore. Anche la fotografia, silenziosa ma attenta, pare non voler far mostra di sé; intenta, senza distrazioni, a cogliere quel briciolo di spazio azzurro, tra tanto nuvolo opprimente. Alcuni dettagli che impreziosiscono la pellicola (il piede sotto la doccia o la luce automatica delle portiere che spegne il dialogo nell'abitacolo), uno solo eccessivo (quella pietà imbarcata a recuperare il figliolo smarrito), rendono questo debutto alla regia interessante, soprattutto per la misura e l'attenzione mostrate.
(depa)

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