Il Mondosuono d'Hulot

Ieri era lunedì, tutti in ufficio. Un click del tasto destro del mouse ed ecco che scorgo una locandina vecchia, di quelle disegnate, di quelle che rimandano ad un cinema di cui il 'Rofum va ghiotto; infatti al Sivori proiettano "Le vacanze di Monsieur Hulot", del 1953, dove fa la prima comparsa il celebre personaggio balzato dalla testa di Jacques Tati. Vado, vado, per rilassarmi un po', tranquillo, niente più.

Strano a dirsi, ma è proprio prima della primissima entrata in scena dell'inopportuno e maldestro Hulot, che Tati rende maggiore onore alla propria arte. Solo una grande sensibilità, capacità di analisi, per ciò che ci sta attorno, permettono di costruire un'atmosfera così vivace e rilassata, semplice e complessa, dai caratteri inconfondibili e sintetizzati in maniera originale col mezzo audiovisivo. La società viene stilizzata da Tati con acume, tenerezza e ironia, giusto un dito di critica. I lati opposti, quelli da apprezzare, quelli no, di questo pazzo formicaio che è la comunità umana.
Poi il film percorre la strada della propria, garbata, comicità; scelta già audace ai tempi, ad oggi decisamente non convenzionale. Bisogna fare un certo sforzo per accordarsi all'ilarità che percorre gli strambi ambienti attraversati da Hulot. La partenza in spiaggia non è certo fulminante, tra fasi di "bassa" e gag un po' ritrite (il cameriere che rovescia il latte leggendo l'ora).
Dolce Hulot, girovago imprevedibile per un lido armonioso, tra bimbi che urlano sotto ai loro acquiloni (che ritmicamente cadono in acqua) e una bionda dirimpettaia che fa trillare xilofoni e sfiatare trombe.
Ecco, non fate la belinata di portarvi i bimbi appresso, come ha fatto lo stupido romanticone che s'era illuso si poter gestire, nella minuscola sala FilmClub, i suoi due pargoli scatenati. Nessun bambino riderà, nella tediosa attesa di far scorrere un dito su qualche diavolo di dispositivo. Perché ogni comicità ha i suoi tempi, le sue generazioni. Sono pochissime quelle che tengono. E Hulot...così così. Alcune sequenze sono così delicate da faticare a capirne il senso (l'incontro coi cavalli o il bimbo coi coni gelato...). Senza nulla togliere al suo poetico messaggio anti-consumistico. Ma nell'epoca dei duri d'orecchio, hai voglia...
Da vedere, tenendo presente che cosa. Sarà che, come dice la "Banda Elastica" in quella loro bellissima canzone dedicata al fantasioso personaggio: "il trucco c'è ma per fortuna non lo so"...
Au revoir.
(depa

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