Alter Western Jodo

Ieri pomeriggio, appena raggiunta la sala Valéry, mi sono fiondato su "El topo" ("La talpa"), ultra, anti e antani western del 1970, firmato da Alejandro Jodorowsky. Ma prima di scriverne le mie quattro solite minchiate, sarà doveroso sprecare qualche bit anche per il suo primo lavoro, "La cravate" ("La cravatta"), cortometraggio del 1957, con cui lo Jodo ventottenne giocò per la prima volta.

"La cravate" è un corto di venti minuti, contrariamente al cinema di Jodo che verrà, piuttosto esplicito: la messa in vendita maschile (ma non solo, si potrà concludere) è rappresentata con sequenze surreali chiare e semplici. Il rapporto di subalternità del sesso "forte" rispetto a quello "avversario", viene rappresentata con una novella muta che dice tutto. La perdita d'identità che ci minaccia, la stereotipizzazione inerte di noi stessi, l'autodeclassazione a soprammobile.
Veniamo al secondo lungometraggio del regista panico cileno. Non so bene come, ma "El topo", questo western non convenzionale, m'ha trascinato con sé. Con le sue immagini delicate e poetiche che s'alternano repentinamente al rosso sangue che tutto bagna, pozzanghere di porpora, schizzi che più pulp non si può, a far da sfondo alle epiche imprese di un eroe dei tanti, talpa sconosciuta in cerca di luce. Il regista, qui interprete principale (così da non odiare attori non apprezzati). Colori contrastanti e rumori in evidenza, come lo stridere delle corde degli uomini appesi (è pur sempre un film di Jodowosky). Il gioco dei contrasti richiama tutti i sensi.
Già al secondo film, il regista cileno ha raccolto un po' di tòpoi, di marchi, lungo il tragitto. Qui ritroveremo il protagonista che si fa carico di qualcuno. Prima un bimbo (il figlio stesso di Jodo), poi una donna, ancora una volta, infine il marasma dei rapporti umani; molto meglio quelli che chiamano mostri. Costellato di sequenze crudissime, è il racconto lontano e selvaggio dell'uomo, dove questi ne esce sconfitto in ogni caso. Che la pellicola, a tratti, si faccia portatrice delle idee del regista, appare chiaro: "non sapevo a cosa sarebbe servito, ma ho cercato la perfezione" (perfezione che, attenzione, sarà letale per qualcuno)
Fotografia pazzesca (Rafael Corkidi), la "Cardinale" ancora una volta pistolera (dai, non è Paula Romo, dite la verità, è lei!) e poi Kinski (perché è chiaro che sia lui), tutto mixato in un western grottesco e surreale (da pànico!), ricchissimo di eventi e colpi di scena, dove il regista pare prendersi e non prendersi sul serio...che altro desiderare?
(depa)

2 commenti:

  1. Ve le consiglio, le chiacchierate extra contenute nei DVD delle pellicole di Jodoroswky; da queste si intuisce molto della sua personalità.
    "Nessun oltraggio, solo la voglio di esprimere sé stesso", frase che potrebbe essere pronunciata da chiunque, ma che al 'Rofum interessa soltanto quando viene pronunciata da un regista che ci solletica.
    Quindi, tornando all'intimo di Jodo, si scopre un monello dalle molte fantasie e reazioni, frutto di tutti i suoi giorni passati. Dovrebbero fare così tutti gli artisti, no?, eppure...sentite le ultime preziose e tonanti parole dell'extra di "El Topo" ("Le star vere malattia del cinema", morto come arte, immortale come business).

    Un film western che, normalmente, divenne anormale...ci vogliono torcioni, quelli che gradiva Lennon, quelli che porgevano al regista i ragazzi che, per un anno interno, si ritrovarono in un "cinema culto" newyorkese.

    Una mente creativamente lucida, presente, sincera ed ironica, decisa ad una ricerca spirituale originale, costante, famelica. Interessante e divertente.

    RispondiElimina
  2. Non male anche le bordate contro le "sale" cinematografiche, armi nelle mani di chi dal cinema chiede dollari e non arte.

    RispondiElimina