Madre Terra danzante

Sempre all'Altrove, lunedì scorso è stata la serata dell'Odin Teatret, "il teatro-laboratorio nordico" con sede ad Holsterbro, cittadina danese di 60 mila persone nello Jutland centrale. Quindi anche la serata di uno dei fondatori, l'artista pugliese Eugenio Barba e dei suoi cosmopoliti collaboratori. "Il paese dove gli alberi volano", diretto da Davide Barletti e Jacopo Quadri nel 2015, è un'affascinante scorcio su di un'arte e un suo uomo.

In questo documentario si avrà la possibilità di intravedere quali siano gli strumenti e gli accordi alla base di quest'arte d'avanguardia, di ricerca e di commistione culturale. Magari non si avrà un quadro preciso sulla costruzione degli spettacoli di questa compagnia teatrale multiculturale; ma, sfruttando l'occasione dei preparativi per la celebrazione dei suoi 50 anni, si avrà la possibilità di cogliere quale sia la naturale quanto complicata, gioiosa quanto rigorosa, gestazione degli spettacoli di Barba e discepoli.
Per un profano del teatro come me, veder "montare" lo spettacolo, vederlo aumentare di tono, peso e qualità è di per sé avvincente. In un teatro d'avanguardia come questo, dove giovani attori danzanti, provenienti da tutto il mondo, riescono a comunicare proprio grazie alla loro arte, alla loro sensibilità, ammirare questo processo di gestazione diventa più sbalorditivo ancora. Vedere come anche i più lontani, laggiù, quasi gli ultimi, senza istituzioni e apparati paragonabili ai nostri, riescano a sentire dentro di loro un'arte e di volerla comunicare agli altri, è cosa che colpisce. Me, snob cronico, sempre da schiaffeggiare.
Poi c'è l'uomo. Tipo particolare, il nostro Barba, brindisino classe 1936. Un quasi ottantenne che pare un ragazzino. Dall'accento che pare venire da un'unione remota. Probabilmente s'è portato dietro un frammento da ogni paese che ha attraversato in questa enorme carriera. Un personaggio solare ma vulcanico, sensibile ma fermo, affetto da un'attenzione ai dettagli che ogni tanto si spinge alla rudezza. Da qui muove i piedi il suo "falso ottimismo", come a dire che guardare sempre avanti va bene, ma senza distogliere l'occhio e il pensiero dal dolore dei lontani, prima ancora dei vicini. Gli autori del documentario, oltre a raccontarci la sua passione di una vita, ci aiutano in maniera affettuosa ma nitida a cogliere le piccole asperità del suo carattere: la traduttrice inutile (e anche un po' sofferente), la telefonata durante un work in progress. Come detto, un professionista esigente al limite della sopportazione. Perché spesso nella testa di un grande artista, tutt'attorno è un colpevole caos. Quindi ecco i capricciosi lampi di genio (le maschere rotte), con cui il maestro e tutto l'Odin Teatret riescono a trasformare quel caos, con determinata magia e pizzico d'ironia, in emozionante armonia. 
Non era certo facile il compito degli autori di questo documentario, rappresentando il crescendo artistico che Barba & C. sono in grado di allestire.
Successone del Laboratorio Bellamy all'Altrove: sala piena, in preda ad una giocosa ridarella.
(depa)

1 commento:

  1. Poi via, a svuotarsi il cervello al suono di una motosega! Traaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!

    RispondiElimina