Il segno del leone

Impressione LII:
Avanti un altro: introdotto un regista la cui carriera e spessore artistico rendevano la nostra rassegna, avventura di un anno e più, a dir poco deficiente, menomata. Tutti in piedi, altro padre (nel suo caso nonno) della Nouvelle Vague: Éric Rohmer, classe 1920, nato a Tulle , cuore della Francia, ma parigino ad honorem, innamorato della capitale. Il film che abbiamo visto martedì è "Il segno del leone", del 1959, ed è il suo primo. Se si tratta di esordio nel campo del lungometraggio, non lo è per quanto riguarda la materia cinematografica.
Difatti, il buon Eric, scomparso all'età di novant'anni lo scorso Gennaio, già verso i trent'anni scriveva come critico per importanti riviste francesi, tra cui Cahiers du cinéma, che diresse anche per sette anni. Tanto per capire che tipo di circoletto fosse questa rivista ai tempi, dovrete fare un esercizio d'immaginazione di questo tipo: provate a pensare Rohmer trent'enne che lancia, senza farsi vedere, una pellicola in testa al vent'enne Truffaut che però non può fare a meno di dare la colpa al suo coetaneo Godard, il quale, vecchia volpe, s'inventa un discorso senza senso, tanto che riesce a far credere che la colpa sia della goffaggine di Chabrol, che ha fatto cadere la bobina da una mensola accanto alla finestra...
Non male eh, l'idea di bersi una birretta con questi compagnoni?
Quindi questo film segna l'attimo in cui Eric Rohmer decise di mettere in pratica, mettersi in gioco.
Il film scorre più o meno lentamente, ma inesorabile, unica maniera di girare per mostrare come la sorte (la domanda tra le inquadrature è chiara: "Davvero c'è lo zampino degli oroscopi, livello poco più alto del concetto di sfiga?") possa decidere di noi senza darcene avvisaglia alcuna. Davvero un po' ci angoscia la rapidità con cui una successione di piccoli fatti possano incidere sulla stabilità di quelle carte che abbiamo impilato con certosina meticolosità. Non che il protagonista Pierre (Jess Hahn, la qualità della sua interpretazione inversamente proporzionale a quella del suo doppiaggio) avesse sul proprio tavolo un castello a dieci piani, anzi, sembra proprio non azzeccarne una. Allora il film di Rohmer assume le sembianze di un pensiero, un'ora e mezza dedicata a tutti coloro che in mezzo a quelle grandi grandi città (Parigi dall'alto, soffocante, avvilente) non sanno di essere disarmati; non c'è battaglia alla pari; inoltre, non c'è possibilità di partecipare "al ballo mascherato della celebrità", eri già clochard dalla nascita (magari proprio a causa di quel segno del cavolo!), inutile illudersi.
Non crederete mica che, dopo quella "fin" sullo schermo, Pierre davvero cambierà vita e saranno solo sorrisi?
Sullo schermo si va piano, ma nel petto si corre per stare dietro alla folle rincorsa di un uomo un po' stolto un po' sfortunato.
Un film di Rohmer prodotto da Chabrol deve essere visto.
(depa)

1 commento:

  1. LA PELLICOLA IN TESTA

    un film con Rohmer, Truffaut, Godard e Chabrol.

    al cinema... :-D

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