Extra: De qua e de là

Jean-Luc Godard a valanga. Continua l'assedio del regista parigino alle nostre consuetudini cinematografiche, continua a premere, a gettare granate ovunque, radere al suolo ogni struttura classica somministrata al povero pubblico ostaggio d'opere omologanti. Non contento di aver già tramortito Lelena a suon di libretti rossi lanciati su carrarmatini di cartone, insisto (anche se è stata lei, giuro, a proporre lo Spazio Oberdan) e testo ancora la nostra tenuta...col maestro francese ed inter nos.
"Masculìn femminìn" (il cui titolo fu tradotto in Italia con un fuorviante "Il maschio e la femmina") è del 1966, l'anno precedente delle due "sorelle", una cinese  e l'altra di cui si sa relativamente...
Li considero imparentati in quanto i più "estremi" del cinema sperimentale godardiano, tra quelli che ho visto sinora. In questi tre film Godard si chiude da solo nel suo laboratorio e crea, mischiando gli ingredienti del cinema che l'ha formato. Compare ancora Jean-Pierre Léaud, il ragazzino smarrito sotto la "pioggia di colpi", continuando a convincermi, è inutile: sarà che Godard (così come quel Truffaut) gli ha affidato il ruolo dell'intelligente, dell'intellettuale o, se non altro, dell'insofferente sul pianeta Terra...ma, anche quando Léaud non fa domande troppo arzigogolate o troppo "a bruciapelo", come "Cos'è un reazionario?", bensì, più "semplicemente", riconosce alla bella Madeleine (Chantal Goya, viso davvero incantevole) che "Hai un bel seno", o "Vorrei venire a letto con te", riesce a tenere il mio sguardo incollato allo schermo. Certo, ci pensa comunque il regista a farci stare lì...come se di chiedesse se davvero stiamo capendo. Assolutamente compare, ma nulla più, anche Brigitte Bardot, ed il fatto che sul Farinotti sia elencata come prima attrice mi fa capire la qualità del manualone supervenduto (leggetevi la trama di questo e della suddetta "cinese" e vi farete un'idea...). E' inutile provare a stendere una trama di questi film godardiani! E' come provare, seppur con una cartina dettagliata della città, ad orientarsi nella medina Fes...impossibile. Né costruttivo. Bisogna lasciarsi andare in entrambi i casi. Le regole grammaticali devono essere conosciute, non c'è dubbio (e, a grandi linee...., Godard le conosce), ma se danno forma ad un lessico nuovo e ad un costrutto inedito ed originale, credo che ci sia solo da rallegrarsi.
Due scene: quando Paul (Léaud protagonista) è in quella specie di sala giochi e s'imbatte nel tizio che si accoltella...bellissima per magica unione di musica, colori e ritmo dei movimenti; e quando, sempre lui, incide su un disco (sì, c'erano le macchinette per registrare al volo, su vinile, messaggi da dedicare!) uno sproloquio, un inno al non-sense (apparente?)...credo abbia ispirato un bel po' registi più masticati dal pubblico delle multisale.
Qui c'è poco da stare lì a dire la propria: a scuola ci hanno sottoposto delle menate, ops questo è soggettivo, delle opere la cui digestione richiedeva un bel po' di televisione pomeridiana, ma lo abbiamo fatto; ed ora, magari, siamo lì a dire "Beh, però, indubbiamente ti dà le basi per capire...bla bla". Bene, Godard spesso è ostico. Ma a mio parere, sposta il nostro metro di giudizio un po' più in là. Quantomeno un squarcio perentorio nella stanza-cinema classica l'ha fatto; per alcuni bucando un tubo dell'acqua, per altri creando i presupposti per un oblò vista mare "très chic". Altri, al massimo, attaccano chewing-gum...
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento